Sento musica nell’aria, un po’ come fosse vento in lontananza che ti scuote sensi e pensieri, ma non si fa raggiungere e afferrare, lasciandoti triste e insoddisfatto, perché non puoi spingerti lontano dalla desolazione che ti circonda, mentre sei qui… sopra un marciapiede, come un rottame inutile da evitare.
“Bambino, per favore, puoi raccogliermi da terra?”
“Signore, dico a lei, ha visto dove sono?”
“E lei, cara signora, può sentirmi da lassù? Le chiedo solo un po’ di filo per riprendere ilmio volo e andarmene da qui.”
Possibile che nessuno senta la mia voce? Non chiedo mica soldi? Ho solo bisogno di un po’ di filo per spingermi nel cielo, volare nell’azzurro, come musica nell’aria, e raccogliere i profumi della vita, fino a raggiungere le nuvole, da inseguire come in un gioco, e alla fine dello stento tuffarmi dentro quel soffice candore, da sembrare zucchero filato, per fermarmi a riposare e guardare dall’alto il mondo che gira troppo in fretta, perdendosi il gusto delle piccole cose e i dettagli della vita. Ma qui nessuno mi dà ascolto. Tutti troppo indaffarati a rincorrere qualcosa, mentre ai bordi di una strada c’è chi elemosina un aiuto che nessuno può sentire o, peggio ancora, vuol vedere.
Io chiedo solo un po’ di filo e una spinta per partire, poi al resto penso tutto io.
Quando sono lassù in alto, saprò da solo come strappare, con tutta la mia forza, la catena che imprigiona i sogni miei di libertà. L’ho già fatto, non ho paura di cadere, anche se il vento smette di soffiare sulle ali e mi fa precipitare sul marciapiede di una strada, dove i rumori della gente coprono le urla silenziose di chi non può mai più rialzarsi ed è lì agonizzante a chiedere una mano, per scappare e seminare i detriti di una vita malandata e senza gloria.
Due metri più in là c’è una signora che suona col violino una musica assai triste. Con lei ci sono anche tre cuccioli di cane a farle compagnia. Ogni tanto si ferma, fa riposare dita e note, e tende una mano tremolante per mendicare, ma anche per lei il destino è ingrato, e pur non avendo bisogno di nessuno per rialzarsi non riesce a farsi ascoltare, rimanendo immobile ad osservare gli occhi della gente che non si ferma mai a fissare chi fa pena o è senza un filo cui aggrapparsi per provare a non morire.
In questo posto dove sono adesso, messo così in basso da non sapermi fare ascoltare, mi sto sgolando inutilmente; la voce mia si lascia surclassare dai rumori della vita e di chi fugge dal dolore quando ti aspetta a braccia aperte per farsi consolare.
“Lei mi sente signorina? La vedo sorridente: si capisce che è felice. È contenta di un amore che tiene stretto per la mano… Ma ha visto quante altre mani sono sole, invece?
Restano lì, tese ad afferrare il niente, in questa strada trafficata. E ha visto quanti sono gli occhi malinconici che le chiedono un aiuto? Ma lei è troppo presa a sorridere al suo amore e non sa cos’è la tristezza. Non ha bisogno di mendicare per sopravvivere o di nessun filo per provare a volare… lei ha ben altro cui pensare.”
Perché la voce mia non sa urlare? Perché non c’è nessuno che si ferma ad ascoltare?
Dà fastidio questo pianto? Fa tristezza la mia lagna? Ma io posso anche cantare: l’ho sempre fatto nei miei voli, e mi piace inventare le parole per ogni immagine che vedo e s’imprigiona dentro il cuore.
Ma se volete posso provare anche solo a cinguettare o addirittura recitare una strofa di poesia, purché qualcuno rallenti i propri passi e decida per me il finale: tra il gettarmi in un bidone o regalarmi un po’ di filo per un altro volo ancora.
Sì, ho deciso, userò l’arte, il nobile cuore che si esprime, e con il sottofondo del pianto di un violino son certo che non passerò inosservato.
“Sono nato per volare… sono un gioco per bambini… sono carta dentro il vento che rapisce ogni sguardo e s’inebria di corrente… un disegno che cattura e a volte offusca pure il sole. Sono tenero e indifeso se mi blocchi in una mano, ma divento un grande uccello se mi lasci volteggiare… Sono come un desiderio che si libera nell’aria e sorvola tra le stelle come un sogno da afferrare… Ma ho bisogno del mio filo per riuscire nell’impresa e se qualcuno sa ascoltare questo mio lento poetare mi regali un’altra spinta ed io prometto di volare e nel cielo di… sparire!”
Qui nemmeno la poesia sembra funzionare. Disperato e senza forze mi sto lasciando andare. C’è solo un cane che mi annusa, ma non mi può dare una mano per rialzarmi.
“Vai lontano, passa oltre, che non servo neanche ad un bastardo.”
Che vi costa dare ascolto a questo povero aquilone, che ha per pelle un po’ di carta e come ossa del legnetto, ed è stato messo al mondo solamente per volare e non finire dimenticato in un viale trafficato da gente senza cuore.
“Chi mi allunga un po’ di filo? Per favore.” Voglio solo andar lontano e sparire da quaggiù, dove chi è solo o senza storia è un pezzente da evitare. Lasciatemi provare, almeno un altro ultimo volo, quello che fa perdere la ragione e ti libera dal filo che incatena il tuo destino. Saprò io come slegarmi, ma prima devo volare.
Tanti umani dovrebbero imparare da un aquilone il coraggio ad osare di più per mettersi in gioco ad ogni età, vincendo le paure, i rischi dell’incerto o i limiti di ogni confine, quando è la logica della ragione a macchiare i pensieri di timore e ti arrende inesorabilmente, frenandoti dall’obbligo di essere onesto con te stesso per liberarti dalle catene di una esistenza senza fama, amore e gloria.
Ma per volare non bastano le ali, c’è bisogno di un aiuto, fosse un vento generoso o una spinta per reagire o una musica che ispira, o soltanto un po’ di filo da spezzare se sei in alto, o troppo in basso e corri il rischio di schiantarti contro i sogni e i desideri irrealizzati.
Si sta alzando un po’ di vento, chissà se può aiutarmi a ripartire, sciogliere le ali e farmi perdermi nel cielo.
Mi è caduta sulla schiena qualcosa di bagnato. Tra non molto inizia a piovere e se l’acqua inzuppa le ali mi affonderà ogni sogno, ma almeno finisce il mio supplizio e in compenso sarò libero di volare nel cielo del Paradiso, dove non ci sarà più bisogno di altro filo per viaggiare.
C’è ancora quella donna laggiù in fondo, che ha smesso di suonare ed in fretta racimola la sua storia, fatta di un paio di buste ed un cartone, e prova a ripararsi dalla pioggia, che anche se le bagna le spalle non la farà certo morire, lasciandola all’inferno di una vita da mendicare su un maledetto marciapiede, dove tutti hanno qualcosa di più importante da fare che fermarsi ad ascoltare un violino per regalarti qualche soldo… o un po’ di filo a cui aggrapparti per rialzarti e tornare ancora a sperare.
Storia di fantasia liberamente ispirata dalla canzone IL FILO di Fabio Concato