Cos’è quella luce laggiù in fondo?
Dovrei spingermi tanto in avanti, perché? Osare un simile azzardo per cosa? Per chi dovrei lasciare questo posto segreto e arrivare lì… a quel portone, serrato da sempre e dal quale non si torna più indietro?
No, meglio di no! Preferisco restare qui, al sicuro da tutto, anche se sento dietro di me una forza misteriosa che mi obbliga a partire: come una mano invisibile, che mi spinge a provare il primo volo; il primo viaggio… la mia prima volta!
Ma ho paura. Non sono un temerario e nessuno mi ha ancora insegnato ad affrontare qualcosa di nuovo, che mi aspetta a braccia aperte per stringermi in un abbraccio o forse in una morsa.
Spesso sento suoni, voci e rumori provenire da lontano, ma non so immaginare cosa li produce e come faccia a farli arrivare fino qui: qui in casa mia!
Mi guardo intorno, è tutto buio, e mi assale il terrore di iniziare a volare, quando so di non essere ancora pronto a questo rischio, perché potrebbe non piacermi quello che c’è ad aspettarmi, oltre una botola enorme che mi separa dal mondo. Vorrei pensarci ancora un po’, ma non si può rimandare. Qualcuno potrebbe preoccuparsi: ci sono i miei che mi aspettano.
Sicuramente troverò mia madre con occhi pieni di lacrime, inquietata da questo mio indugio, mentre sul viso si disegnano rughe di stento e appare un’ombra scura per la preoccupazione. Meglio partire, che non mi piace fare ritardo. M’incamminerò col buio, fra le lame della notte, così non vedrò ombre sinistre al mio fianco, ed avrò un motivo in più per correre e raggiungere in fretta la luce, oltre quel tunnel, dove c’è chi mi attende, perché è finalmente il turno mio, tocca proprio a me: all’appello c’è il mio nome!
Il mio nome! Chissà se mi piacerà o dovrò indossarlo come un abito che mi sta stretto, o una condanna che non saprò mai sopportare. Se almeno mi avessi chiesto un parere, mamma, ti avrei potuto urlare da quaggiù il mio consenso…
Lo sai che, quando ti penso, mi immagino davanti a te, mentre mi regali il tuo primo abbraccio? A te che mi osservi commossa, felice o un po’ delusa se non rispondo a tutte quante le tue aspettative: sarò biondo, bruna, occhi azzurri, labbra sottili o cos’altro ancora? Sarò un bel maschio, da far crescere tutto muscoli e rispetto o una femminuccia, che so desideri di più, perché te l’ho sentito confidare mentre parlavi con qualcuno. Ma ci pensi, mamma? Io, una bella bambina da coccolare e stringere forte, quando sentirai il bisogno di qualcuno che ti ascolti senza dire nulla e si lascia imprigionare in quell’abbraccio che libera la tristezza e disperde la solitudine.
Chissà come sarò… e chissà se piacerò anche a te, papà!
Ma quanti pensieri in questa mia piccola testa. Mentre volo nel buio guardo in basso e vorrei tanto che qualcosa rischiarasse i contorni per capire cosa c’è sotto: una campagna, una strada o può darsi anche il mare. Che poi… cosa sarà mai il mare? Parlo di cose che non conosco, di cui so soltanto il nome perché mi hanno fatto ascoltare o immaginare da qui.
Spesso ho ascoltato i rumori e le voci provenire oltre queste pareti, ma sono cieco e non so quanto sia grande questo mare, dove mi hai già fatto bagnare però, mamma. Ricordo che un giorno, accarezzandomi con la tua mano calda, me lo hai fatto sentire il suo rumore, dicendomi poi: «tu sarai come il mare: il meglio di te non sarà mai visibile in superficie, ma solo nella tua più ignota profondità.»
Non so cosa volevi dire con quelle parole, ma mi è piaciuto ascoltare la tua voce, il rumore delle onde e l’idea di assomigliare a chi nasconde la parte migliore, quella più grande, dentro di sé.
Che strano! Ho sognato tanto questo momento e adesso che sembra il turno mio, vorrei tornare indietro da dove sono partito, per riflettere su tutte le cose nuove che mi aspettano lì fuori, oltre quel confine. Ma non c’è più tempo, anche se non credo esista un tempo preciso da scegliere per nascere.
Devo accelerare e raggiungere la luce… ho paura che si spenga.
Ancora un po’ di volo e sarò da te: che bello, mamma!
Chissà quanto hai desiderato questo momento. So pure che dovrò sforzarmi per farmi capire che ho fame. Dovrò inventarmi un gesto che ti faccia comprendere cosa voglio e perché non la smetto di piangere. O forse è meglio un bell’urlo? Uno di quegli strilli che ti ho sentito tante volte fare, e qui dentro ha tremato tutto.
Che emozione… sto volando o, non so, se è più giusto dire che nuoto in un liquido viscido, che mi ha alimentato da sempre ed un po’ già ne sento la sua mancanza, così come questo filo che mi lega a te e mi fa sentire un aquilone, che non si deve smarrire, mentre qualcuno lo insegue con lo sguardo che si perde nel cielo.
Ma adesso basta tristezza e fatemi spazio: tocca a me!
Sto arrivando e già quasi ti vedo… vedo il tuo viso provato, mamma. I tuoi occhi arrossati dalla commozione. Mi stavi aspettando, vero? Sono io quello che cercavi? Mi immaginavi così?
Tra un po’ mi presento col mio primo lamento, il primo vagito sul mondo; il mio primo respiro alla vita.
Ma perché il viaggio rallenta?… C’è qualcosa che mi frena e sento anche freddo. Non mi era mai capitato di tremare così prima d’ora. Forse è solo emozione. Ma perché sono fermo?
C’è qualcosa di strano, sembra che tutta l’acqua intorno si svuoti, corra più veloce di me… e perché quella luce là in fondo si è spenta di colpo?
Non capisco a chi devo aspettare per varcare l’ingresso. Sembra tutto sospeso, bloccato: ora il buio più totale, ma cosa c’è? Voglio uscire da qui!
Vorrei bussare al portone, dire che sono fuori che aspetto, ma non riesco a parlare e mi si chiudono gli occhi. Forse sarà stanchezza per questo viaggio notturno, o perché questa è l’ora che di solito dormo. Forse è meglio fermarsi e aspettare che si riapra la botola e mi faccia passare, per vivere quello che ho appena assaggiato, a sapermi ad un passo da quella luce sul mondo… sul mio domani.
Intanto il tempo passa e non mi cerca nessuno.
In compagnia del silenzio, e per lo stento di un viaggio tanto lungo, mi sento svenire. Devo riprendere fiato. Ma voi aprite la porta… manca l’aria qui dentro. Non riesco a respirare… Vi prego, fate in fretta e non lasciatemi al buio e nel freddo che uccide.
Il destino di un uomo non può essere scritto dalla volontà di qualcuno che decide per lui.
Dico a te, mamma, che non senti o fai finta di non considerare l’omicidio che commetti a non farmi venire al mondo: io non ti chiedo un miracolo, se non quello di nascere, che poi qualcuno lo trovo che mi voglia accudire e così fai felice anche chi si sente incompleta, se non può regalarsi un figlio tutto suo da crescere, ma si concede ad un’anima al mondo, proteggendola con l’amore da mamma.
Tu, fai aprire quel varco e fammi passare… che poi al resto ci penserò io, la sorte o il buon Dio.
Ti chiedo solo quel sì… che mi cambia il destino e dà alla speranza la vita, che non deve mai morire. Non ti serberò rancori se mi abbandoni perché non puoi tenermi, o non riesci ad accettarmi o sei obbligata a liberarti di me, perché qualcuno così ha deciso per noi. A me basta ricevere da te solo quell’atto d’amore, che si chiama diritto alla vita, che è il più grande regalo che una donna possa donare a chi vuole nascere, perché ne ha diritto e sa di meritarsi una possibilità di guardare il cielo, il mare e il proprio volto allo specchio, invece che finire ricordato in un rimorso, da nascondere a tutti, perché è un peccato mortale.
… … …
Vi prego, mi sentite?
Aprite la porta! Ma che ci faccio qui dentro da solo? Sono stanco di rimanere al buio, come fossi in castigo, io che non ho nessuna colpa da farmi perdonare.
Mamma, dico a te: non fermare il mio volo e ascolta questo pianto sottile. Sintonizza il tuo cuore grande di donna, che dà vita alla vita, con quello mio piccolino e lasciami nascere, che non voglio essere ricordato come un ignobile gesto compiuto o il tuo angelo sfortunato nel cielo, ma un uomo libero sul mondo, che anche senza mai averti visto ti vuole bene lo stesso e ti ringrazia per aver fatto sì che la vita, così come la speranza di nascere, abbia vinto su ogni paura di arrendersi e morire.
racconto vincitore al Concorso Letterario SAN NICANDRO 2013